Monday, July 05, 2010

Scuola e integrazione nella solita italietta

Circa un anno fa ci siamo occupati della scuola Carlo Pisacane di Torpignattara a Roma, per via della rivolta delle mamme (che oggi hanno formato un vero e proprio comitato) che chiedevano misure restrittive per le iscrizioni dei figli degli immigrati a causa della spropositata percentuale di bambini non italiani rispetto a quelli italiani.

Certamente liquidata troppo frettolosamente, col senno di oggi (!), la prospettiva xenofoba emergente non rendeva davvero giustizia (non tutta) ad un problema reale che a distanza di più di un anno non sembra affatto concluso, anzi.

Ovviamente i toni utilizzati sia da alcune mamme sia dai soliti politicanti che cavalcano l'onda elettorale non erano certamente quelli di chi si rimbocca le maniche per voler trovare davvero una soluzione, le prime per via di ovvie incapacità e mancanza del potere necessario, i secondi per il solito menefreghismo indispensabile al tipo di occupazione in questione.

Frettoloso anche il giudizio sulla direttrice che veniva lodata per la risolutezza con cui si opponeva alle lamentele apparentemente ingiustificate.

Premettendo che ci sarebbe piaciuto che qualcuno avesse risposto alle domande rivolte in quella sede poiché probabilmente da li sarebbero nati spunti per riflessioni che avrebbero quasi certamente esautorato la questione; tuttavia è stato solo grazie all'unico intervento dell'amica che ha commentato il post che oggi viene pubblicata questa continuazione, necessaria per comprendere un po' più a fondo.

Effettivamente, toni a parte, il nocciolo della questione era ed è l'insoddisfazione da parte di genitori che temono per l'apprendimento , dunque per la cultura, dei propri figli e questo è un fatto innegabile; se le iscrizioni di bambini italiani continua a diminuire non è soltanto per xenofobia, ormai è certo, per fortuna esistono anche altri genitori e (come anche l'amica ci faceva notare un anno fa nel suo commento) indubbiamente problemi derivanti da un'alta percentuale di bambini con maggiori difficoltà di apprendimento sono tanto maggiori quanto più non si disponga di mezzi adeguati per affrontarli, programmi e docenti in primis.

Certamente non si può pensare che tutto il corpo insegnante sia uguale ed abbia in se le stesse potenzialità; se già consideriamo che al suo interno si trovano individui con livelli culturali e titoli di studio così diversi e che poi vengono anche inquadrati diversamente a seconda dell'anzianità ecco che le somme vengono da se.

Era infatti questo che la nostra amica voleva comunicarci con l'esempio della Svezia : laddove ci sono fattori di maggiori “disagi” ossia laddove è necessario supportare chi lavora a diretto contatto con i bambini vengono stanziati i maggiori fondi rimuovendo, se necessario, quegli insegnati che non sono capaci di sostenere una tal compito e sostituendoli con più giovani e preparati che hanno al proprio attivo voglia ed erudizione per farlo agevolmente.

Dunque approfittiamo per scusarci di aver affrontato la questione in maniera effettivamente da giornaledipartito, ribadendo, in tutti i modi, il nostro dissenso nei confronti di atteggiamenti comunque pericolosi (tuttavia evitabili se affrontati con intelligenza) che non fanno altro che lasciare le cose come stanno, inasprendo solo gli animi con instillazioni di odio e risentimento.

A questo punto ci rivolgiamo alla direttrice dell'istituto Pisacane la quale, dopo aver liquidato il tutto asserendo che esistono i programmi ministeriali e che questi vengono seguiti “alla lettera” ha sostenuto una dura battaglia allo scopo di cambiar nome all'istituto (finora senza riuscirvi) : ma se quei programmi di cui parlava lei l'anno scorso c'erano ed erano efficaci perché stiamo ancora aspettando che vengano applicate le norme per “una perfetta integrazione” alla Pisacane?

Non sarà, forse, che, trattandosi di un caso particolarmente delicato sarebbero necessarie delle misure altrettanto particolari?

Non sarà che non si adopera la stessa risolutezza per non mettere a rischio sedie e posti da anni occupati indegnamente?

Perché c'è chi sostiene e condivide l'idea per la quale l'integrazione multietnica non possa e non debba ledere in alcun modo diritti di bambini o genitori di qualsiasi etnia ed ha fatto di questo il punto di forza del proprio lavoro?

E rivolgiamo una domanda anche al ministro della pubblica istruzione : se perfetta integrazione e multietnicità non vuol dire semplicemente cambiare il nome ad un istituto scolastico con che arroganza si può pensare che sia possibile farlo semplicemente fissando un tetto massimo di “stranieri” in percentuale, a prescindere dal caso specifico?

Siamo piuttosto sicuri del fatto che non vedremo risposta neanche in quest'occasione.

Saluti a tutte/i.


Thursday, July 01, 2010

SPECISMO RELOADED.

Nonostante le numerose trattazioni ormai dell'argomento SPECISMO, sembra mancare quella che si occupi dell'origine di questo concetto/ideologia o comunque di analizzare in maniera un pò più approfondita l'oggetto da cui essa parte e intorno a cui si sviluppa.

Inoltre si vuole qui premettere che volutamente non si è fatta specifica menzione nel dettaglio a tutte le pratiche speciste atte ad utilizzare gli ANIMALI a qualsiasi scopo umano.

Si prenderà qui , per comodità, principalmente in esame l'esempio dello specismo “alimentare” per cui non me vogliano tutte/i coloro che ogni giorno si battono per abolire quelle modalità di sfruttamento animale perpetrare quotidianamente (vivisezione, sperimentazione, conceria, lusso, benessere, divertimento).

RAGIONE E SENTIMENTO.

Per comodità suddivideremo (consapevolmente in maniera semplicistica) le scelte umane come se esse fossero o di tipo razionale o di tipo emotivo-istintuale-sentimentale o miste ossia risultanti dalla concomitanza di entrambe le sfere.

In realtà sarebbe più corretto dire che le nostre scelte sono sempre questo risultato e mai si potrebbe realisticamente pensare che le due componenti possano esistere autonomamente se non nel contingente; altra cosa è poi saperle coscientemente individuare.

Lontani ormai da credenze manichee riduttive e popolari per cui la ragione e il sentimento abbiano in se una specifica valenza a prescindere dai contesti, è ormai esperienza acclarata che solo qualora queste due entità riescano armoniosamente a convivere e a dettare quasi in simbiosi l'una all'altra e viceversa le nostre scelte queste ultime potranno essere davvero libere; fino a quel momento avremmo sempre la necessità di vagliare, volta per volta, per direzionare le nostre azioni, avanzando gradualmente verso quell'armonia (qualora lo decidiamo consapevolmente).

Questa è l'esperienza anche (oltre che dell'autore del presente articolo) dell'inglese Richard Ryder che, dopo aver lavorato ad esperimenti su ANIMALI nel 1970 coniò per primo il termine SPECISMO fondandolo su riflessioni (ragione) etiche a partire da stati emotivi (sentimento) scaturiti dall'esperienza diretta a contatto con ANIMALI ( ossia esseri senzienti ) sofferenti e privi di qualsiasi libertà.

Il termine SPECISMO fu successivamente delineato dal filosofo australiano Peter Singer il quale lo ha definito: «Un pregiudizio o atteggiamento di prevenzione a favore degli interessi dei membri della propria specie e a sfavore di quelli dei membri di altre specie» (Liberazione animale, 1975) e dal filosofo statunitense Tom Regan.

Tuttavia già intorno agli inizi del 1800 Jeremy Bentham aveva cominciato a chiedersi se i nostri coinquilini ANIMALI avessero dovuto o meno godere di privilegi fino a quel momento mai neanche lontanamente immaginati, considerando che ogni essere vivente non umano era comunemente considerato alla stregua di un oggetto; il suo estremo pragmatismo e la sua occupazione di giusnaturalista nonché la sua straordinaria intelligenza ed enorme cultura portarono Bentham a formulare pensieri e a porsi domande assolutamente nuovi per l'epoca : - Non esistono animali superiori e inferiori, così come non esistono razze umane superiori e inferiori, ma esistono esseri viventi dotati di peculiarità uniche e come tali rispettabili e inviolabili. Il problema non è: "Possono ragionare?", né: "Possono parlare?", ma: "Possono soffrire?" -

[Jeremy Bentham]

Definiamo dunque lo SPECISMO un pensiero discriminatorio fondato sull’idea che gli animali appartenenti alla specie umana abbiano maggiori diritti (o superiori per importanza) a quelli appartenenti alle specie non-umane nonostante la loro caratteristica comune a noi esseri umani di “sentire” e, in alcuni casi, persino di provare sentimenti.

Senza soffermarci più del dovuto su cause e motivazioni dello SPECISMO potremmo azzardarci a motivarlo come causa di una visione antropocentrica della natura che potrebbe affondare le proprie radici un un'errata lettura del darwinismo oppure nella religione monoteista, cristianesimo a capo ( per quanto qualcuno sostenga che esso non lo sia molto più che il pensiero utilitarista ) e in moltissime politeiste (qualunque dio creazionista avrebbe progettato e “costruito” gli animali non-umani per porli al servizio degli animali umani e gli animali umani affinché vivessero attenendosi rigorosamente ai propri comandamenti e alla propria volontà, commettendo, se necessario, anche sacrifici di membri della propria specie) oppure ancora in una visione del mondo individualista o personalista (secondo una tradizione non sufficientemente olistica, dunque anacronistica) o semplicemente nell’ignoranza ( non avendo la consapevolezza di cosa possa voler dire avere degli organi di senso.

Lo SPECISMO non è che la punta dell'iceberg del retaggio culturale e sociale umano che a tutt'oggi non riesce ancora a liberarsi definitivamente (ammesso che ciò possa davvero mai avvenire) di tutta la discriminazione, dell'egoismo, del desiderio indiscriminato di ricchezza, potere, denaro, beni materiali, dominio su tutto e tutti, conseguenze del vivere per secoli, a dirla con Fromm, secondo la modalità dell' AVERE.

Per quanto premesso deduciamo allora che lo SPECISMO ha davvero motivo di esistere (ossia può essere considerato davvero un'ideologia in cui è possibile riconoscersi) solo qualora venga supportato dalle nostre due dicotomiche sfere : se pensiamo di poter uccidere qualsiasi essere vivente ANIMALE senza che ciò muti minimamente il nostro stato emotivo ma poi all'atto pratico è necessario impegnarsi per “mantenere il sangue freddo" e “non farsi guidare dalle proprie emozioni"(frasi frequenti quando si vuol convincere qualcuno ad uccidere un essere vivente senziente) probabilmente la sinergia "corpo-mente" di cui si parlava poc'anzi, in questo caso, non funziona affatto e non stiamo scegliendo davvero liberamente (o, per dirla con Kant, non stiamo conoscendo adeguatamente).

Una delle frasi tipiche degli anti-specisti (e vegan), presa in prestito da Tolstoj, è : "se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani".

Secondo uno studio condotto dall'autore di questo articolo circa il 90% (ed oltre) di intervistate/i che si cibano di carne non lo farebbe più ( almeno secondo quanto la maggior parte di loro sostiene ) nell'eventualità di procurarsela autonomamente uccidendo un ANIMALE “terrestre” o meno (in realtà la percentuale scende della metà ed oltre quando si prende in considerazione solo il “pescato”, mammiferi a parte).

Eppure tutti coloro (che addirittura si professerebbero addirittura anche contro la caccia) continuano a cibarsi di carne e derivati semplicemente demandando a qualcun altro il lavoro sporco in luoghi preposti ben occultati ai sensi, decidendo che ciò che in definitiva vanno a consumare non è nient'altro che un oggetto : qualsiasi lavorato finale proveniente dalla carne di un animale ammazzato finisce inevitabilmente per essere a tutti gli effetti un oggetto inerte, preconfezionato, quasi fosse completamente "altro" dall'ANIMALE da cui ha origine.

DOLORE.

Possibile che questo fastidio, disagio, avversione per cui non si riesca ad ucciderecosì facilmente un essere senziente sia unicamente un fattore culturale e dunque solo l'abitudine ed il “coraggio” facciano dell'essere umano un assassino? E l'empatia sarebbe solo una debolezza? Sarebbe davvero solo per una questione di immaturità, infantilismo, codardia, mostrare titubanza nel momento in cui dovremmo assassinare un ANIMALE così come i nostri antenati hanno fatto da quando qualcuno di loro cominciò per la prima volta qualche migliaio di anni fa?

Domande tutte retoriche, ovviamente, se partiamo da assunti come quello di Bentham che avrebbe individuato il nodo cruciale ossia qualcosa che finisce per rappresentare la perfetta sintesi tra ragione e sentimento.

Per Bentham la domanda principale riguarda la sofferenza ossia quella sensazione che, una volta riconosciuta, ci rende in quel momento uguali all'essere vivente che la prova.

Nessuno, tanto meno un ANIMALE SUPERIORE, è in grado di assistere ad una scena di sofferenza “gratuita” (ossia in cui un essere vivente ANIMALE inerme soffra) senza che il proprio stato emotivo subisca (inconsciamente o meno) cambiamenti, senza che la propria volontà non canalizzi automaticamente le proprie energie, quando possibile, nello sforzo che ciò termini nel più breve tempo possibile.

Probabilmente è questo un fattore soggettivo ossia quanto più un individuo è "sensibile" tanto più avrà facilità ad empatizzare ; tuttavia il riconoscere uno stato di un altro essere vivente come il proprio genera in maniera meccanico-chimico quasi la stessa percezione in noi stessi anche se ciò avviene non “spontaneamente”; per gli stessi motivi riusciamo a non percepire il nostro dolore se davvero lo vogliamo e ci concentriamo o se ci portano ad ignorarlo.

Gli studi sul dolore sono ancora molto indietro e a tutt'oggi si pensa che nell'essere umano esso sia una quasi perfetta unione tra psicologia e fisiologia dunque molto difficilmente si può individuare una zona, all'interno del sistema nervoso, precisa e delineata, dove senza dubbio si genera ciò che definiamo DOLORE (nonostante esistano aree del cervello innegabilmente interessatevi) in cui questo stimolo venga elaborato come succede per l'essere umano o comunque per quegli esseri viventi dotati di strutture talamiche dell'encefalo; in mancanza di queste lo stimolo interesserà soltanto le regioni periferiche (nocicezione) e non potrà, dunque, coinvolgere la coscienza dunque l'emotività, caratteristiche proprie unicamente di quelle organizzazioni complesse.

Anche la maggior parte di cacciatori e macellai ossia tutti coloro che hanno deciso di uccidere ANIMALI per i motivi più diversi (è solitamente una scelta di tipo alimentare alla base di questi comportamenti, sebbene la caccia abbia, a detta dei fans, motivazioni ben più “nobili” tanto che la maggior parte di loro si definiscono addirittura i più grandi amanti a conoscitori della natura e degli esseri viventi) cercando di trovare la modalità che arrechi meno DOLORE alla vittima (è quello che un pò si fa anche con i condannati a morte nella società moderna), tant'è che le stessi leggi di un paese in cui è permessa la caccia o addirittura in cui vige la pena di morte vietino di far soffrire o arrecare "inutilmente" morte e/o sofferenza a qualsiasi essere vivente ANIMALE.

Qualsiasi addetto allo studio della psicologia o del comportamentismo umano non potrà fare a meno di riconoscere che il desiderio di arrecare volutamente sofferenza a se stessi e agli altri è proprio di una personalità “deviata” e con molti altri problemi al seguito tale da essere a tutti gli effetti considerato una disposizione nociva a se stessa/o ed al bene della comunità in cui vive.

C'è da fare una precisazione : in questo senso l'essere umano potrebbe sembrare l'unico a differenziarsi dagli altri ANIMALI per via degli aspetti fondamentali della vita su questo pianeta, ossia il principio di conservazione della specie e il cosiddetto istinto di sopravvivenza.

Tuttavia non è così, infatti tutti i mammiferi hanno la capacità di mettere da parte le regole che geneticamente regolerebbero le proprie esistenze per agire in maniera cosciente, ossia secondo la propria volontà.

Il suicidio (anche il lasciarsi morire è una forma di suicidio) ne è l'esempio più calzante, atto per qualcuno estremo, in quanto opposto a quelle leggi “naturali” ma assolutamente naturale quando l'emotività detta legge, quando il malessere esistenziale o l'estremo dolore per un fatto tragico può contribuire a non desiderare più di rimanere in vita.

Anche il dolore per la scomparsa di un altro individuo della propria specie finisce per rappresentare la causa (involontaria, stavolta) di morte in una coscienza particolarmente sensibile a livello emotivo.

Il dolore è dunque qualche cosa di ancora studiato perfino nell'essere umano in quanto non semplicemente un fenomeno sensoriale bensì il risultato di una serie di complessi e non sempre possibili passaggi in ANIMALI in cui con i nostri sensi non riscontriamo quelle strutture complesse tali da poterle tanto facilmente accomunare alle stesse sensazioni che appartengono ai cosiddetti ANIMALI SUPERIORI.

L'indicazione SUPERIORE, infatti, vuole esprimere proprio il concetto che sono le strutture bio-fisiologiche ad essere più complesse così come, conseguentemente, le possibilità di riscontrare stati emotivi e/o sensoriali che invece non posso essere realizzati in organismi molto più semplici a causa di carenza di strutture idonee allo svolgersi di determinati processi; secondo lo stesso Darwin gli ANIMALI SUPERIORI sarebbe anche i soli ad essere interessati da fenomeni evolutivi.

Non si può pensare che un mollusco o un protozoo o una mosca o addirittura una pianta possano elaborare in maniera cosciente la sensazione del dolore, almeno non allo stesso modo di altri esseri viventi dotati di strutture biologiche che in quelli mancano oppure che abbiano una qualche attività psichica e spirituale : chi pensa il contrario non fa nient'altro che antropomorfizzare gli esseri viventi non umani e si comporta come chi ha deciso di rinunciare alla ricerca della verità che diventa unicamente spasmodica ricerca della coerenza della propria fede.

Questo ci porta inesorabilmente a vivere in un universo costituito da innumerevoli verità, come delle galassie a se stanti, delle monadi astronomiche che, paradossalmente, a differenza di quel che succede in natura, tendono a preservare la propria integrità, non adoperando alcuna azione sinergica con le altre, permanendo in una fissità a lungo andare logorante per l'universo stesso.

DEFINIZIONI.

Molto importante è individuare i confini tra termini molto confusi (proprio perché definizioni umane) quali vegan, vegetarianesimo e qualunque altro che si riferisca ad una consuetudine alimentare conseguente ad una visione critica che apparentemente si direbbe derivare dall'antispecismo.

C'è chi si definisce in un modo o in un altro molto spesso a torto poiché può capitare di compiere una scelta di tal genere piuttosto per una tendenza di tipo egoistico-individuale, ponendo ad esempio la propria salute e quella delle persone care/vicine come la cosa più importante al mondo, per cui da salvaguardare a tutti i costi (specista estremista); in questo caso, dunque, si decide di non mangiare carne o derivati ma non certamente per l'empatia ed il rispetto verso gli altri esseri viventi, bensì per motivazioni esattamente opposte.

Il termine che più di ogni altro è quello che desta maggiori dubbi e genera maggiormente problemi di comunicazione in questo contesto è quello di vegetarismo (o vegetarianesimo o vegetarianismo) che talvolta assume i significati più vari e divertenti.

Azzardiamoci a dire che in questa categoria ci sono tutte/i coloro che hanno deciso di non mangiare certamente tranci crudi o cotti o carcasse di corpi di ANIMALI morti ammazzati o meno (per un motivo o per un altro) interi o “lavorati” (in questi ultimi dovrebbero rientrare anche i prodotti caseari ottenuti con caglio animale).

Ecco individuato l'oggetto intorno a cui ruota lo SPECISMO : l'essere vivente senziente con cui il vegetariano o il vegan empatizzerebbe e che, dunque, deciderebbe non solo di non sacrificare ma di “innalzarlo” allo status umano, assegnando loro addirittura diritti inalienabili.

Consultando il solito dizionario, tra i vari significati che il termine ANIMALE può assumere all'interno di una frase italiana di senso compiuto ne esiste uno che è poi quello più "vero" ossia quello che definisce l'entità animale che dunque possiede un "equivalente diretto" ossia un'entità materiale nella realtà (almeno quella in cui abbiamo la consapevolezza di far parte) che possiamo percepire coi nostri sensi e che ha le caratteristiche contenute in quella definizione (un'altra tra le definizioni riportate molto interessante per capire dove può arrivare la discriminazione umana è quella per cui si definisce ANIMALE un essere umano della peggior specie).

Un ANIMALE è da tutti noi a tutt'oggi convenuto "ogni organismo vivente dotato di sensi e di movimento spontaneo"; in maniera un pò più scientifica potremmo dire meglio "qualsiasi organismo eucariota, eterotrofo e mobile durante almeno uno stadio della propria vita".

Decidere dunque di non mangiare ANIMALI vuol dire in termini "pratici" non cibarsi di alcun essere vivente che tassonomicamente non rientri, almeno secondo l'ultima teoria classificativa, nel regno degli Animalia in quanto le piante o i funghi, anch'essi esseri viventi eucarioti, non hanno "sensi" (anche se compiono anch'essi movimento spontaneo seppur impercettibili ai nostri sensi) ossia non hanno terminazioni nervose di alcun tipo che permettono lo scambio di informazioni con l'esterno e sono autotrofi.

Il problema nasce quando ci troviamo di fronte a dei protozoi ossia a dei protisti (o protoctisti) con caratteristiche tali per cui a essi o molti di essi, pur essendo unicellulari, vengano fatti rientrare a tutti gli effetti nel regno degli Animalia.

Ciò ci porta dunque a concludere che chiunque si cibi di molluschi, insetti o protozoi, è erroneamente indicato con il termine vegetariano; il vegetariano può, infatti, tutt'al più assumere dei derivati animali che non provengano da uccisione (e macellazione) di alcun ANIMALE anche se ciò, tuttavia, causa allo stesso essere dolore e sofferenza talvolta anche ben peggiori di quelli inflitti con la sola uccisione.

Il vegan, invece, rinuncia per definizione anche a quei sottoprodotti considerando la sofferenza o la privazione di libertà alla stessa stregua della morte.

Non esistono, invece, categorie precise per individuare un vegetariano/vegano-insettivoro, pescivoro o che si cibi di protozoi, nonostante rientrino in queste moltissime persone che non hanno alcun problema (razionale o emotivo) a cibarsi di lombrichi, o di molluschi o di esseri uni o multicellulari piuttosto primitivi o comunque strutturati in maniera decisamente più semplice rispetto ad ANIMALI più complessi : in questo caso sarebbe giustificata una dichiarata avversione nei confronti della necrofagia?

Si definiscono SUPERIORI gli ANIMALI vertebrati dotati di un sistema nervoso complesso dorsale, colonna vertebrale (che contiene e protegge parte di esso), organi interni preposti alle funzioni vitali e organi di riproduzione specializzati per la produzione di gameti.

Sono considerati ANIMALI SUPERIORI, i vertebrati mammiferi, uccelli, pesci , anfibi, rettili.

A loro volta tutti essi vengono suddivisi in ANIMALI omeotermi o ectotermi a seconda della propria capacità a mantenere o meno costante la temperatura corporea, che è poi conseguenza pressoché diretta dello sviluppo di un sistema nervoso più complesso.

Il professor James D. Rose condusse uno studio nel 2002 per dimostrare il fatto che i pesci (ectotermi) non provassero dolore a causa della mancanza dell'appropriata neocorteccia nel cervello.

Per quanto parrebbe incredibile, infatti, gli animali a sangue freddo non potrebbero provare dolore in quanto senza una sistema circolatorio adeguato il sistema nervoso non sviluppa quelle organizzazioni come ad esempio la citata neocorteccia dove questi stimoli sensoriali trovano la propria sede di smistamento/elaborazione per cui l'individuo ne prende realmente coscienza.

CATEGORIE.

Sarebbe molto coerente da parte di tutti coloro che si definiscono antispecisti combattere innanzitutto la solita battaglia contro il solito linguaggio discriminante con cui concetti ormai superati vengono ribaditi in maniera subliminale e rallentano quel processo di evoluzione tanto sospirato.

Inoltre se per un antispecista tutti gli esseri viventi ANIMALI sono davvero sullo stesso piano e la vita di ognuno di loro è davvero identica a qualsiasi altra perché non vivono essi come i giainisti?

Se un antispecista sfrutta o uccide dall'alto della propria superiorità gerarchica e di valore, per qualsiasi scopo, un insetto o un protozoo non è più un antispecista in quanto anch'essi sono considerati ANIMALI.

E così un vegetariano non è più tale se si ciba di prodotti caseari ottenuti dall'uccisione di ANIMALI.

Ugualmente non sarà un vegan o un vegetariano chi sfama un animale con la carne (di qualunque origine essa sia) di un qualsiasi altro.

Davvero sorprendente è notare le analogie tra gli insetti e tutti gli altri ANIMALI : quasi tutti gli apparati di quelli riproducono in miniatura e solitamente in maniera un pochino meno complessa quelli dei coinquilini terrestri più grandi e complessi tuttavia senza tuttavia che essi possano poter provare sentimenti o sensazioni quali il dolore in quanto privi delle strutture nervose e cerebrali necessarie.

Ancora più sorprendente è pensare che ormai la teoria scientifica più accreditata, in maniera quasi "definitiva" è che ci siano state linee evolutive parallele o comunque che "superiore", almeno in zoologia, non sia sinonimo di migliore.

Insomma se è vero che per l'antispecista alla cima della piramide NON c'è affatto l'essere umano che ha diritto sempre e comunque di vita, di morte, di libertà su qualunque altro essere vivente, allora l'antispecista dovrebbe porre la propria vita sul medesimo piano di un insetto o di un protozoo.

Tuttavia la maggior parte di coloro che si definisco in questo modo stermina senza alcuna pietà, quotidianamente, per ignoranza, menefreghismo, incoerenza, mancanza di adeguata attenzione migliaia di ANIMALI che come unica colpa hanno quella di non essere raggiunti ed individuati dai nostri sensi quindi dalla nostra coscienza.

Per le stesse ragioni (anche se in maniera ancor più accentuata) la maggior parte delle/dei antispecistie/i si prende cura di uno, dieci, cento ANIMALI (cani o gatti) nutrendoli con la carne di altri, questa volta addirittura altrettanto complessi, dunque altrettanto "senzienti", giustificando la scelta contraria come una privazione di libertà nei confronti di ANIMALI carnivori (privilegiati, che ha nominato come propri “animali-da-compagnia) riconoscendo, dunque, un valore alla NATURA esattamente come ce l'hanno tramandata fino ad oggi i nostri avi, detentori di una società patriarcale sessista, specista e razzista.

Il principio che giustifica tali azioni è lo stesso che giustifica la discriminazione a qualsiasi livello ed è la più pericolosa poiché riconosce a quella NATURA così divinizzata un valore intrinseco che è alla base della vita e che non può essere intaccato per alcun motivo e che è rifiutato dall'antispecismo.

Non si può ne si deve pensare che tutte le classificazioni, seppur gerarchiche, siano state create in base al valore o all'importanza; per questo motivo non basta chiamare un essere vivente ANIMALE per potergli assegnare dei diritti, necessitiamo che ci siano DAVVERO le condizioni per cui sia realmente possibile per l'ANIMALE in questione “poterne beneficiare”.

Per quanto, infatti, avere rispetto per QUALSIASI essere vivente (animale o vegetale esso sia) sia sempre giusto e non origini mai sofferenza, distruzione, disarmonia, è anche vero che è necessario capire dove poter attingere (se vogliamo continuare a sopravvivere) per eleggere le nostre "vittime" all'interno del mondo organico/biologico.

Presumibilmente, infatti, quando queste vittime non abbiano REALMENTE una coscienza che le porti a provare emozioni la nostra empatia non si innescherà, per cui molto difficilmente ci impedirà di estirpare un tubero o di recidere un frutto dalla pianta, o di pescare dei mitili attaccati ad uno scoglio (fino a sterminare in ogni modo le tanto odiose zanzare).

Esistono infinite combinazioni nella realtà che generano un numero N tendente all'infinito di risultati cioè di esseri viventi e non; non è antropocentrismo o specismo differenziarli in base a caratteristiche tipiche simili o uguali.

La sola classificazione non può essere discriminatoria tout court.

E se è vero che studiare un impulso elettrico in un organismo elementare è relativamente facile quando si conosce bene il percorso che esso compie dalla ricezione dello stimolo fino alla consegna non lo è affatto qualora questo percorso si complessifichi e ci diventi addirittura impossibile riuscire a capire dove come e quando esso venga interfacciato.

Tuttavia non si può prescindere dal fatto che essendo la vita, almeno in maniera oggi riconosciuta, sviluppatasi gradualmente, su scale temporali non propriamente "umane", abbia lasciato e lasci così tante tracce a vari livelli che ci saranno innegabilmente molteplici differenze dovute alla diversità di sostanze e leggi che ne regolano la composizione ed organizzazione.

CONCLUSIONI.

Le categorie, come le definizioni, sono inevitabili, non potremmo vivere senza fissare punti a cui arrivare volta per volta e da cui anche ripartire; non lo è altrettanto creare dei veri e propri stili di vita o filosofie su di essi, ciò rappresenta una menomazione del nostro pensiero, una forzatura creata da noi stessi a tutti i costi che ci rende più immobili, ci toglie curiosità e desiderio di crescere, voglia di confrontarci realmente con gli altri e non solo per affermare le idee a cui abbiamo deciso di aderire, a cui ci siamo affidati con fede, anche se questa ha, in partenza, per noi stessi, una base razionale.

Quando ci affidiamo poniamo in essere qualcosa come un dato di fatto, un assioma sempre e comunque vero (a priori), è come se decidessimo di abbandonare la verità o quantomeno di fermarci nel percorso verso la ricerca di essa.

E' ciò che è successo anche alla filosofia che, dopo secoli di speculazioni dettate dal solo amore per la conoscenza e dal desiderio di verità ha finito per assoggettarsi a quella presunta rivelazione divina tanto cara (quasi necessaria) al popolino e imposta dal regime di turno e i nuovi filosofi hanno cominciato a sforzarsi di trovare dei compromessi (talvolta davvero al limite del ridicolo o del penoso) affinchè la verità rivelata potesse essere spiegata, dunque accettata, grazie al paradigma filosofico, preesistente ad essa.

Ognuno di noi dà a se stessa/o e agli altri spiegazioni per giustificare i propri comportamenti in base alla propria fede che proprio perché fondata su una verità (o creata da noi o data da qualcun altro) a cui abbiamo deciso di aderire è e rimarrà sempre immutata ed innegabile e non ci sarà possibilità per la nostra crescita individuale e civile