Sunday, December 19, 2010

DISUGUAGLIANZE

Avete mai sentito un personaggio politico affermare che la disonestà vada premiata? (Affermare a voce, intendo, rilasciare una dichiarazione formale oppure redigerla di proprio pugno).

La risposta è ovviamente no, anche se poi ognuno, al riparo da occhi e orecchie indiscrete si senta quasi in diritto di agire nello stesso modo così tanto vituperato a parole.

Allo stesso modo alcun/a cittadino/a affermerebbe mai di voler essere governata/o da chi invece di farlo sfrutti la posizione concessale/gli attraverso un processo democratico (chiamato erroneamente elezioni popolari) per il proprio tornaconto; quest'ultimo, infatti, almeno nella società dei consumi, è già insito nell'acquisizione di (molto) potere e di (molto) denaro, tanto da creare quel gap sociale davvero inconciliabile con il bene comune.

Dunque su qualcosa siamo tutte e tutti d'accordo, almeno in apparenza : nessuno vuole disonestà, criminalità, clientelismo, interesse personale nelle posizione di governo, qualunque esse siano (comunali, provinciali, regionali, nazionali).

Il sistema che finora ha, al contrario, prodotto esattamente tutto ciò andrebbe dunque cestinato letteralmente; ed inutile è modificarlo, "ammorbidirlo", pensare di adeguarlo.
Sono ormai più di 50 anni che in italia un sistema politico-amministrativo ha generato e continua a generare soltanto vantaggio alle lobby, ai singoli, alle criminalità organizzate che SEMPRE sono riuscite ad avere il proprio referente politico, a differenza delle/gli oneste/i cittadine/i.

E sono circa duecento anni che nel mondo le multinazionali fanno il buono e il cattivo tempo in virtù delle facoltà a loro concesse (o meglio delle leggi fatte per quanti avessero già potere e denaro e desiderassero ampliarli sempre di più).
Si sente molto parlare di re o de-regolamentazione del mercato libero : ecco un esempio di adeguatio, di rallentamento del progresso delle civiltà e dell'individuo, che serve solo a coloro che, essendosi creati imperi legittimi non potrebbero mai tollerare che qualcuno un bel giorno decida che si sia commesso un errore e che sia tutto da rovesciare.

E siccome sono questi individui ad avere denaro e potere in eccesso (che il mercato cosiddetto libero ha permesso loro di ottenere) sono loro che riescono a servirsi ANCHE delle stesse leggi che dovrebbero tutelare tutti indistintamente per sopravvivere : ecco dunque un altro esempio del fallimento di questo tipo di sistema, la disparità di fronte alla legge (che prevederebbe uguaglianza assoluta) inevitabilmente drogata dalle risorse individuali possedute.

Qualche tempo fa su FB qualcuno ha postato questa domanda : secondo te qual'è la soluzione?

Il contesto, ovviamente, è quello politico-sociale-economico, quello di un miglioramento OGGETTIVO dell'essere umano e della società umana tutta. Almeno questo è quello che dovrebbe essere. Poi invece finisce che ognuno ne ha uno tutto suo di contesto ergo di interpretazione per cui possiamo ritrovarci a leggere davvero le opinioni più disparate e "socialconfuse".

E così quante/i, interpretando correttamente il paradigma ermeneutico, sono riuscite/i a raggiungere una prospettiva d'incontro (o di scontro reale), hanno prodotto una serie di informazioni che fa emergere una società moderna capitalista che si potrebbe provare a "stratificare" in almeno 4 grandi insiemi.

Il primo (in ordine di importanza) strato-insieme (che è anche quello più sparuto) è quello di chi prende quotidianamente atto che le cose non vadano ed allo stesso tempo è impossibilitata/o ad agire da sola/o nella direzione opposta; ha dunque bisogno delle/degli altre/i o almeno sente questa necessità a causa dell'enormità dello sforzo che la sola presa di coscienza impone.
Molti tra quelli che la pensano così sono arrivati alla conclusione che le/i cittadine/i tutte e tutti, (finalmente!) anche quelle/i che la politica finora era solo le elezioni possono essere dei bravi delegati del popolo, proprio perché, più vicine/i alla realtà, ai problemi concreti.
Questa considerazione si basa ANCHE sulla consapevolezza che esistono fuori ogni dubbio, una marea di persone molto più preparate politicamente, economicamente, culturalmente, rispetto alla maggior parte di chi occupa poltrone senza esserne minimamente all'altezza.
E allora, dopo che i requisiti appena delineati sono nati (quasi) da se (è bastata una unica domanda), perché non considerarli davvero come strumenti essenziali alla scelta politica?
Sarebbe sufficiente utilizzare i luoghi di discussione popolare (anche o forse a tutt'oggi soprattutto "virtuali") come vivaio politico e considerare che la società è fatta da vari gruppi di cittadini differenziati per età, status sociale, status culturale ed il gioco è fatto.
Basterebbe decretare dei requisiti proporzionalmente alle "aree" rappresentate e dei limiti sulla base del principio prima di tutto dell'onestà (o giustizia), poi del merito, quindi del ricambio immediato (che avvantaggia i primi due).

Ricapitolando, al primo gruppo appartiene chi crede fermamente di dover necessariamente mandare a cacare tutta la classe politica di oggi (ossia di quasi sempre) e doversi affidare alle/agli oneste/i cittadine/i che hanno voglia di risolvere i problemi che riguardano tutte e tutti e che non solo se ne fregano del guadagno facile e spropositato ma arrivano anche ad indignarsi profondamente di fronte ad una qualsiasi proposta che vada nella direzione opposta  al bene comune : chi persegue un obiettivo credendoci è disposto a rinunciare anche alla propria vita.

Altro ultimo fondamentale presupposto , dunque, è uno stipendio leggermente superiore alla media dei compensi reali delle donne e degli uomini che quotidianamente abitano e vivono la società da quelle/i gestita , in proporzione reale alla responsabilità che tuttavia dovrebbe essere compensata dall'alto valore e prestigio che un lavoro del genere automaticamente rappresenta.
Il nuovo mondo verrebbe da se, secondo loro.

Il secondo strato è quello di quanti, invece, credono, per propria cultura, per condizionamento mediatico-elitario, per una mentalità romantico-progressista, che le cose vadano come DEVONO andare, che dunque è addirittura INUTILE opporsi più di tanto o che comunque si potrebbe PROVARE ad AGEVOLARE il (giusto) cambiamento (necessario) facendo piccolissimi passi, lasciando pressoché intatta la struttura “portante”.
La maggior parte di costoro vivono abbastanza soddisfatti, considerando le insoddisfazioni e le ingiustizie o come qualche cosa da nascondere o da vivere in prospettiva di un futuro migliore.

Altro strato è quello di quante/i affermano energicamente che l'essere umano trovi la propria NATURALE massima soddisfazione del regime capitalistico che assicura a tutte e tutti la massima libertà e la massima forma di espressione individuale e che modificare la rotta significherebbe abbracciare necessariamente ideologie marxiste-socialiste, responsabili dell'annientamento delle individualità. (elemento questo caratterizzante in piccola parte anche il secondo gruppo).
Qui troviamo quanti non credono nemmeno nel progresso, per cui sono loro i veri idolatri del capitalismo, che per convinzione "ideologica" lascerebbero le cose esattamente come sono.

Altro ed ultimo strato è quello, invece, (quantitativamente sparuto anch'esso come il primo) di chi ha tratto e trae e non ha alcuna difficoltà o riserva a continuare a trarre vantaggio da questo tipo di società bastata esclusivamente e sempre più sul consumo indiscriminato, sulla legge del più forte, sull'accettazione dell'annientamento NATURALE del più debole (in qualsiasi ambito) per cui vivrà ed agirà sempre non solo sforzandosi di preservare ciò che già esiste, ma di dare ad esso una forma sempre più complessa e strutturata, tanto da rafforzare quei meccanismi che attraverso la non chiarezza e trasparenza generano ingiustizia sociale ed infelicità, troppo spesso ANCORA sottovalutate.

C'è in realtà un quinto insieme-strato che è quello costituito dalle persone del FARE, da quante/i, mosse/i più o meno dagli stessi ideali e dalle stesse consapevolezze che caratterizzano il primo gruppo hanno tuttavia maturato ANCHE la convinzione che per poter cambiare sia necessario VIVERE il cambiamento, agendo sempre e comunque, e dando l'esempio in maniera più o meno palese, convinte/i che la politica come è fatta sia solo demagogia ed artifici che non portano a nulla : solo loro il progresso che corre inesorabilmente, sempre e comunque, unico reale contrappeso alle coscienze individualiste e agli interessi multinazionali ed è solo grazie a loro che possiamo affermare di vivere senza alcun dubbio in un mondo almeno un po' libero.

Wednesday, October 13, 2010

Sembra incredibile.

Sembra davvero incredibile eppure ancora oggi ci permettiamo di assimilare interi popoli ai propri governanti.

Sembra assurdo ma nonostante le decine di migliaia di conflitti DECISI da imperatori, papi, conquistatori, presidenti, generali militari (per la necessità di accumulare denaro o per interessi strategici) non siamo ancora tutti (l'umanità intera, governanti compresi) concordi sulla grave colpa di cui i  principi umani si sono macchiati.
E non è tanto una questione di "peccato originale" poiché fortunatamente non siamo tutte e tutti uguali dunque non ugualmente votate/i alla discriminazione e all'individualismo (nazionalismo) grazie alla differente cultura, personalità, sensibilità, genere.
Si, genere, in quanto indubbiamente la donna è certamente meno "colpevole" almeno storicamente dell'uomo (il mondo è stato e continua ad essere sotto l'egida maschile) e poi di default, per una pura e semplice questione “strutturale” (propensione generale a donare e/o a mantenere la vita, all'amministrazione e alla giusta ripartizione dei beni, alla preservazione di armonie individuali o collettive, incapacità di trasformare in violenza il proprio impulso sessuale represso); e quando ciò non si verifica è attribuibile ad una sorta di “emulazione maschile”.
Dunque se di "peccato originale" non si tratta quello del riconoscimento èda parte dei rei è senza dubbio il primo passo necessario per una vera evoluzione, un'autocritica umana a 360 gradi, che si concretizza nell'autocritica maschile (nei confronti delle donne) o in quella degli adulti (solitamente di sesso maschile nei confronti dei/lle bambini/e) o in quella dei governanti tutti, laici e non (nei confronti del popolo ai danni del quale sono stati commessi tutti i possibili peggiori crimini e atrocità).
Solo un'ammissione di responsabilità può costituire la perentoria affermazione delle differenze e la spinta propulsiva a voler fare diversamente, ad intraprendere una nuova strada, senza il rischio di ri-incappare negli errori già commessi.
Del resto se questo fosse reale ci sarebbe dovuto essere un cambio di guardia al comando, cosa che tuttavia non è accaduto.
(vi immaginate gheddafi o il successore di putin o un signore della guerra africano che abdica in favore di una donna?)
La cosa davvero sconcertante è che tutto questo non richiederebbe ne sperpero di denaro ne alcun tipo di sforzo, se non quello dell'interesse nei confronti non solo dei propri cittadini ma di ogni individuo umano : un puro atto di amore disinteressato, ossia nient'altro che non sia già prescritto nei tanto cari testi sacri.
Sembra irreale leggere o assistere a dibattiti in cui si assumono posizioni nette e decisamente contrarie a quelle del proprio avversario quando si legge di morti, di guerra, di stragi, di mutilazioni, di stupri.

Sembra grottesco che qualcuno possa preoccuparsi per coloro che esplodono in aria poiché un gruppetto sparuto lo ha organizzato e cancella dal proprio immaginario le morti dovute al fosforo bianco, ai bombardamenti militari, ordinati da un altro sparuto gruppetto concorrente; come si può essere solidali con un bambino che muore o viene mutilato solo perché israeliano o palestinese?

Sembra folle ancora giustificare stragi di persone innocenti o quantomeno non ritenere che ciò non sia sufficiente per schierarsi contro tutti coloro che in un modo o nell'altro le rendono possibili quotidianamente.

Sembra allucinante tuttavia non riusciamo ancora tutte e tutti a giudicare un essere umano (maschio) che meccanicamente (perché glielo ordinano) esegue una carneficina o un altro (sempre maschio!) che la ordina se ciò avviene in un'ottica di guerra che continuiamo ad accettare come parte integrante delle nostre vite...anzi di quelle degli altri!

Sembra anacronistico ma abbiamo ancora l"immaturità" di lasciar correre, di dimenticare o di far finta di niente e chi invece sembra farsene carico lo fa in maniera faziosa, schierandosi da una parte o dall'altra, adducendo motivazioni tra le più variopinte (che spesso legittimano la trasformazione della vittima in carnefice); ciò nella migliore delle ipotesi, alternativamente si tratta unicamente dell'ennesima affermazione del proprio Io e niente più.
E così si perde di vista l'importante, l'essenziale, ciò che fa indignare e per cui val bene la pena di impiegare risorse : l'ingiustizia, la discriminazione, la violenza, la privazione di libertà.
E in virtù di un rispetto, su cui avrebbe fatto un gran film quel genio di Chaplin, che è pura demagogia, pura formalità, finzione o asservimento, ci permettiamo anche il lusso di riconoscimenti dell'autorità, pensando di non dover (o poter) interferire nelle questioni degli altri, credendo che "gli altri" siano quei 4 carnefici, fanatici, egoisti, che tutto fanno tranne pensare davvero di risolvere dispute decennali in cui a rimetterci sono quelli che non decidono proprio un bel niente e che vorrebbero solo che qualcun altro (chiunque altro!) li aiutasse a vivere finalmente in pace e in libertà.
Ma anche tutto ciò, del resto, è strategia politica nazionalista (individualista) : un despota è despota se si oppone ad alleanze, se non favorisce l'establishment di turno o se non ha abbastanza risorse per potersi opporre; un despota è responsabile di morti quando costituisce un impedimento alla realizzazione dei propri affari e deve essere spodestato, smette di esserlo quando invece dimostra di possedere quella minima dose di diplomazia o "disponibilità" necessaria ad assicuragli l'appoggio degli altri principi.

Sembra incredibile eppure è la realtà.

Saturday, September 04, 2010

Slow Football

La frase latina "panem et circenses" si considera essere stata coniata ed utilizzata da Giovenale nel primo secolo dopocristo per esprimere il concetto secondo il quale al popolo è sufficiente concedere cibo e divertimenti affinché esso resti ammansito e buono nella propria cuccia, senza dar troppe noie agli imperatori; Giovenale, infatti, esiliato dal potere romano, certamente non stimava la politica imperiale ne l'ignoranza del volgo, atta ad accrescerla e a consolidarla.

Del resto da Augusto in poi tutto ciò è stato dichiaratamente messo in atto con precisa e lucida volontà dalla maggior parte dei suoi successori, ben consci che lo sport irrobustisce il potere.

Il concetto rimane lo stesso, oggi, con qualche differenza tipica del nostro tempo caratterizzato sempre più da ormai pochi ed enormi imperi mondiali economici, autorizzati da barbari (ossia primitivi, incivili, atti a favorire il bene di pochi a discapito di molti) sistemi organizzativi (capitalismo, liberalismo sfrenato).

Seppur tutti gli sport e le attività che vengono definite tali siano ormai dominati dagli dei denaro, potere e fama, certamente quello che più di ogni altro è il capolinea dei più grandi furbonifaccendieri in cerca di un canale che dia loro la possibilità di continuare i propri sporchissimi affari (almeno in Europa e in italia) è il calcio.

E anche se non tutti i tifosi sono ultràs, sfortunatamente (altrimenti si potrebbe estrarlo 'sto dente alla radice, senza doversi troppo giustificare!), la massa "inerme" di cui parla anche qualcun altro negli ultimi tempi è ciò che di anno in anno, stagione dopo stagione, lo rielegge e lo glorifica più degli stessi ultràs, con acquisto di tv, decoders, abbonamenti vari, fantacalcio, gazzetteegazzetine, schedine ma anche soltanto la cosa peggiore di tutte : il riconoscimento della sua dignità o di un qualche ruolo utile nella vita dell'individuo e della società.

Difficilissimo è il riuscire a tollerare il qualunquismo, soprattutto se in bocca (e nel cervello) delle persone che si reputano anche solo in parte "illuminate" con cui è possibile parlare di Religione, di Giustizia Sociale, di Esistenza, di Rivoluzione Culturale; quando anche solo dopo alcuni minuti, con la stessa noscialans gli stessi individui riescono a fare una vera e propria speculazione quasi teoretica sulla nuova campagna acquisti della sampdoria la coscienza dell'ascoltatore va in tilt.

A sentirli argomentare le decisioni di questo o quell'allenatore come se il giorno prima avessero studiato un manuale universitario o se avessero passato una vita su di una panchina di una squadra professionista parrebbero pronti a partire con la nazionale per il prossimo campionato del mondo.

Davvero è difficilissmo farli rientrare in un sistema omogeneo, razionale, coerente o trovargli posto, o categorie o motivazioni psicologiche.

E a nulla valgono le giustificazioni sulla contingenza del calcio o della consapevolezza che "tanto è solo un gioco" o che "lo seguo per distrarmi"...distrarti da cosa? Dal lavoro? Dalla famiglia? Da se stessi?

Certo non è possibile nemmeno considerarlo un puro svago, un rimedio alla noia, visto che risulterebbe anche quello noioso, a lungo andare, come tutto il resto (anzi, forse anche di più, considerando i medesimi schemi, passaggi e calendari ripetuti "a nastro".)

Nel leggere sul web possibili argomentazioni che una persona intelligente e sensibile potrebbe addurre in favore del calcio e dei propri sostenitori è possibile approdare ad un articolo dal titolo "calcio, anatomia di un omicidio" che è poi una recensione sul libro dello stesso autore, Massimo Fini, dal titolo "Sterco del demonio" del 1998.

L'autore/scrittore delinea in maniera chiara e precisa dei punti chiave con i quali sarebbe per lui possibile motivare il successo del calcio (almeno quello fino agli anni ottanta) anche tra i meno beceri e ai quali egli fa riferimento per demonizzare ciò che è diventato il calcio oggi, decisamente "decaduto", ormai svuotato del tutto o in parte di quelle caratteristiche "nobili" di un tempo.

Dai processi di identificazione (il cui carattere di continuità sarebbe dato da giocatori-faro/simbolo che a tutt'oggi non esiterebbero più) che richiamano inni celtico-leghisti o diritti di appartenenza sacra e inviolabile a gruppi di eletti, alla “festa”.. per chi vince? E i perdenti che fanno? Si danno a sollazzi spinti per dimenticare?

Dal rito domenicale e quello della vigilia che sanno tanto di giorno dedicato al signore (in questo caso ai signori onnipotenti del calcio), al simbolismo...maschilista?

Dal ritrovarsi in modo comunitario (tuttavia antagonistico), ai contenuti sentimentali e sociali che davvero credo non possano altro che riferirsi a tutti gli altissimi e nobili valori appena elencati.

Insomma come già accadeva duemila anni fa il calcio, come tutte le attività a certi livelli (professionistici) è diventato anch'esso un'attività aziendale/imprenditoriale, infinitesimo tassello "partecipativo" del capitalismo.

Premesso tutto ciò si può affermare oltre ogni ragionevole dubbio che lo sport ma principalmente il calcio professionistico non sia un semplice "interesse" quale ad esempio la partitella giocata con gli amici o anche solo semplicemente osservata nel campetto sotto casa, o il giro in barca o in canoa o l'escursione in montagna o qualsiasi altra attività che non alimenti sistemi di potere ed economici di alcun tipo, i livelli sono ben diversi e quanti abbiano a cuore costantemente la politica (ossia gli interessi di tutti), la filosofia (ossia la conoscenza), la religione (ciò che dovrebbe elevare e motivare le nostre vite terrene) non può avere come “interesse” il calcio professionistico; anzi, l'atteggiamento di tutti coloro nei suoi confronti dovrebbe piuttosto essere coerentemente di ripugnanza e deplorazione.

Solitamente è comunque l'indifferenza a tutti i livelli il rimedio più giusto per combattere costruttivamente questo genere di problemi; nemmeno articoli sardonici o satirici servono, anzi, sortiscono lo stesso effetto delle lodi degli osannatori.

L'agonismo di qualsiasi tipo genera competizione, discriminazione, brutalità, individualismo, in un modo o nell'altro e ciò è tanto più vero ed evidente e potente quanto più di ciò se ne fa più una passione, uno stile di vita, quasi un motivo di esistenza, senza capire che si fanno indirettamente gli interessi (veri) di pochissimi altri.

Lo sport dovrebbe prescindere da queste categorie ed essere un'attività puramente da esercitare, o da fruire e godere pacificamente quanto più alla larga da qualsiasi forma di interesse economico, politico, sociale, individuale.

Allora si che anche gli sport di squadra come il calcio potrebbero essere realmente vissuti ed esercitati in virtù della caratteristica ideale che li contraddistingue : lo spirito di gruppo, la voglia di collaborare, il puro desiderio partecipativo, il sano antagonismo.


Thursday, August 12, 2010

A quando l'insegnamento delle religioni?

Articoli e servizi sull'ora di religione in rete ce ne sono a bizzeffe.
L'intenzione, era, molto sommariamente, quella di scrivere un post proponendo l'ora di religione NON ovviamente di stato, ossia cristiano-cattolica, bensì un momento di conoscenza delle religioni del mondo nella storia; ma neppure qui, niente di troppo nuovo, considerando la mole di materiale riscontrato on-line (e non solo).
Uscendo, dunque, decisamente sconfortato da questa ricerca, avevo quasi deciso di demordere, quando mi sono imbattuto nell'ultima parte del libro che stavo terminando.
Lì ho trovato ciò che difficilmente avrei potuto scrivere da solo o comunque non di certo in maniera così chiara ed incisiva (caratteristica del prof.Cacitti, autore della suddetta) propria di competenza e cultura entrambe con la C maiuscola.
Il libro in questione è l'ottimo "Inchiesta sul Cristianesimo" di Augias-Cacitti, al termine del quale il professore dà libero sfogo al proprio pensiero inerente la questione insegnamento scolastico di religione (o religioni) : a mio avviso una piccola perla (tra le numerose dello stesso autore) in un universo sempre più caotico di pensieri purtroppo il più delle volte copie di copie di copie che aggiungono davvero ben poco.
Ho deciso pertanto di riportarlo integralmente (sperando che ne il prof.Cacitti ne Augias me ne vogliano) ritenendolo più che illuminante

[...] Chiunque svolga in università il mestiere d'insegnante di storia religiosa credo concordi nel giudizio sulla pressoché totale impreparazione con cui arrivano nelle nostre aule gli studenti.
E non si tratta di una sfavorevole congiuntura, considerata per altro la sua sistematica ricorrenza, ma dell'emergere di un dato oggettivo: nessuno, infatti, nell'anteriore formazione di questi studenti, ha loro insegnato, pur soltanto in una delle sue manifestazioni, la storia religiosa.
Nel migliore dei casi, un insegnante particolarmente sensibile potrà aver sfiorato queste problematiche nello svolgimento dei programmi di lettere, storia, filosofia o arte; ma il fenomeno religioso in sé considerato non è contemplato nell'ordinamento didattico del nostro paese.
Questo accade per una grave e non più tollerabile anomalia del nostro sistema scolastico, in cui - in virtù degli accordi che regolano i rapporti fra Repubblica italiana e Santa Sede - l'insegnamento della religione, denominato «insegnamento della religione cattolica», viene dismesso dallo Stato e appaltato alla Chiesa cattolica romana in tutte le scuole di ogni ordine e grado, a eccezione dell'università.
Spetta infatti a ogni singolo ordinario diocesano la formulazione dei programmi, il reclutamento degli insegnanti e, addirittura, la vigilanza sulla condotta privata di questi ultimi, per cui, se essa viene ritenuta incompatibile con la morale cattolica, il docente può venire rimosso.
Al di là degli aspetti giuridici della situazione - la Costituzione garantisce, all'art. 33, che «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento», mentre spetta allo Stato dettare «le norme generali sull'istruzione» -, l'insegnamento della religione cattolica si configura come l'estensione in ambito scolastico della catechesi di quella Chiesa, garantita, al pari di ogni altra forma di fede religiosa, dall'art. 19 della Costituzione stessa.
Qui sta il punto: ovviamente, se nessuno contesta questo diritto costituzionale, ciò che appare del tutto indebito è che la catechesi confessionale si sostituisca all'insegnamento pubblico, poiché la prima deve conformarsi a un sistema teologico (il dogma), l'altro è, come sancito nella Carta fondamentale, assolutamente libero.
Che non si tratti di sottigliezze lessicali possiamo constatarlo con un esempio: di fronte alle attestazioni evangeliche secondo cui Gesù aveva quattro fratelli e alcune sorelle (Mc 6,3, Mt 12,46, Gv 7,3, At 1,14), il docente di religione può, in buona e formata coscienza, farsi persuaso che si tratti di veri e propri fratelli e sorelle, ma non potrà mai insegnarlo, pena la revoca dell'incarico per difformità dalla dottrina ufficiale della Chiesa.
Nell'attuale ordinamento, lo studente è libero di avvalersi o no dell'insegnamento della religione; per chi non se ne avvale, tuttavia, non è previsto alcun altro tipo di libero insegnamento di storia religiosa, a meno che, volontaristicamente, qualche professore non si industri a impartirlo (e ne ho conosciuti di bravi, validi e appassionati).
C'è, in quest'abnorme situazione, un ulteriore elemento di contraddizione.
In quasi tutte le università italiane sono attivate le discipline dell'area storico-religiosa, ambito che proprio in Italia ha conosciuto una fioritura di prestigio assoluto, da Baldassarre Labanca a Ernesto Buonramento di questa situazione: lasciando immutati i termini degli accordi concordatari cui facevo sopra riferimento, basterebbe soltanto introdurre, nell'attuale ordinamento, una classe diaiuti a Raffaele Pettazzoni a Ernesto De Martino, per tacere dei tanti altri che, ieri come ancora oggi, onorano con il loro sapere la ricerca scientifica.
Eppure, questo prezioso patrimonio di conoscenze, trasmesso a intere generazioni di allievi, rimane, recluso nelle aule universitarie, sterile e infecondo, poiché nessun laureato in tali materie può andare liberamente a insegnare ciò per cui è stato formato, con uno spreco inammissibile di risorse umane, culturali, scientifiche ed economiche.
Se si conviene sull' importanza della conoscenza dei fenomeni religiosi, è indispensabile procedere, e con urgenza, al superamento di questa situazione: lasciando immutati i termini degli accordi concordatari cui facevo sopra riferimento, basterebbe soltanto introdurre, nell'attuale ordinamento, una classe di concorso di storia religiosa, in tutto e per tutto simile a quelle già esistenti di lettere o scienze o storia dell'arte o matematica e via declinando.
Così, a insegnare storia religiosa nelle nostre scuole sarebbero docenti valutati esclusivamente
in ordine alla loro preparazione scientifica e alla loro capacità didattica, come per tutte le altre discipline, senza alcuna pregiudiziale di qualsivoglia natura: «Presto o tardi» scriveva agli inizi del Novecento Salomon Reinach a Salvatore Minocchi «la storia delle religioni si insegnerà nelle scuole secondarie, accanto alla storia, alla filosofia, alle scienze.
Non vi si insegneranno né la fede né lo scetticismo, ma fatti certi; vi si insegnerà soprattutto agli scolari a riflettere sopra così gravi questioni, e a concedere a esse tutta l'attenzione, dirò meglio, tutto il rispetto che meritano. Invece di dire "io credo", oppure "non credo", essi potranno dire in certo modo "io so"» (Salvatore Minocchi, L'insegnamento religioso nelle scuole italiane, in «La cultura contemporanea», 4,1912).
A quasi un secolo da quest'auspicio, la situazione non è mutata, anzi, è francamente peggiorata: perfino nelle università gli insegnamenti di storia e letteratura religiosa sono rifluiti nei macroraggruppamenti della medievalistica o delle scienze dell'antichità, in spregio alla loro autonomia.
Sarà più probabile, temo, che anche all'università queste discipline diventino un'appendice più o meno trascurabile delle altre storie e delle altre letterature, piuttosto che assumano configurazione autonoma nei vari gradi e ordini della scuola italiana. [...]

 [ Tratto da  Inchiesta sul Cristianesimo - Come si costruisce una religione, di Augias-Cacitti (Mondadori, 276 pagine prezzo € 18,50) ]

Monday, July 05, 2010

Scuola e integrazione nella solita italietta

Circa un anno fa ci siamo occupati della scuola Carlo Pisacane di Torpignattara a Roma, per via della rivolta delle mamme (che oggi hanno formato un vero e proprio comitato) che chiedevano misure restrittive per le iscrizioni dei figli degli immigrati a causa della spropositata percentuale di bambini non italiani rispetto a quelli italiani.

Certamente liquidata troppo frettolosamente, col senno di oggi (!), la prospettiva xenofoba emergente non rendeva davvero giustizia (non tutta) ad un problema reale che a distanza di più di un anno non sembra affatto concluso, anzi.

Ovviamente i toni utilizzati sia da alcune mamme sia dai soliti politicanti che cavalcano l'onda elettorale non erano certamente quelli di chi si rimbocca le maniche per voler trovare davvero una soluzione, le prime per via di ovvie incapacità e mancanza del potere necessario, i secondi per il solito menefreghismo indispensabile al tipo di occupazione in questione.

Frettoloso anche il giudizio sulla direttrice che veniva lodata per la risolutezza con cui si opponeva alle lamentele apparentemente ingiustificate.

Premettendo che ci sarebbe piaciuto che qualcuno avesse risposto alle domande rivolte in quella sede poiché probabilmente da li sarebbero nati spunti per riflessioni che avrebbero quasi certamente esautorato la questione; tuttavia è stato solo grazie all'unico intervento dell'amica che ha commentato il post che oggi viene pubblicata questa continuazione, necessaria per comprendere un po' più a fondo.

Effettivamente, toni a parte, il nocciolo della questione era ed è l'insoddisfazione da parte di genitori che temono per l'apprendimento , dunque per la cultura, dei propri figli e questo è un fatto innegabile; se le iscrizioni di bambini italiani continua a diminuire non è soltanto per xenofobia, ormai è certo, per fortuna esistono anche altri genitori e (come anche l'amica ci faceva notare un anno fa nel suo commento) indubbiamente problemi derivanti da un'alta percentuale di bambini con maggiori difficoltà di apprendimento sono tanto maggiori quanto più non si disponga di mezzi adeguati per affrontarli, programmi e docenti in primis.

Certamente non si può pensare che tutto il corpo insegnante sia uguale ed abbia in se le stesse potenzialità; se già consideriamo che al suo interno si trovano individui con livelli culturali e titoli di studio così diversi e che poi vengono anche inquadrati diversamente a seconda dell'anzianità ecco che le somme vengono da se.

Era infatti questo che la nostra amica voleva comunicarci con l'esempio della Svezia : laddove ci sono fattori di maggiori “disagi” ossia laddove è necessario supportare chi lavora a diretto contatto con i bambini vengono stanziati i maggiori fondi rimuovendo, se necessario, quegli insegnati che non sono capaci di sostenere una tal compito e sostituendoli con più giovani e preparati che hanno al proprio attivo voglia ed erudizione per farlo agevolmente.

Dunque approfittiamo per scusarci di aver affrontato la questione in maniera effettivamente da giornaledipartito, ribadendo, in tutti i modi, il nostro dissenso nei confronti di atteggiamenti comunque pericolosi (tuttavia evitabili se affrontati con intelligenza) che non fanno altro che lasciare le cose come stanno, inasprendo solo gli animi con instillazioni di odio e risentimento.

A questo punto ci rivolgiamo alla direttrice dell'istituto Pisacane la quale, dopo aver liquidato il tutto asserendo che esistono i programmi ministeriali e che questi vengono seguiti “alla lettera” ha sostenuto una dura battaglia allo scopo di cambiar nome all'istituto (finora senza riuscirvi) : ma se quei programmi di cui parlava lei l'anno scorso c'erano ed erano efficaci perché stiamo ancora aspettando che vengano applicate le norme per “una perfetta integrazione” alla Pisacane?

Non sarà, forse, che, trattandosi di un caso particolarmente delicato sarebbero necessarie delle misure altrettanto particolari?

Non sarà che non si adopera la stessa risolutezza per non mettere a rischio sedie e posti da anni occupati indegnamente?

Perché c'è chi sostiene e condivide l'idea per la quale l'integrazione multietnica non possa e non debba ledere in alcun modo diritti di bambini o genitori di qualsiasi etnia ed ha fatto di questo il punto di forza del proprio lavoro?

E rivolgiamo una domanda anche al ministro della pubblica istruzione : se perfetta integrazione e multietnicità non vuol dire semplicemente cambiare il nome ad un istituto scolastico con che arroganza si può pensare che sia possibile farlo semplicemente fissando un tetto massimo di “stranieri” in percentuale, a prescindere dal caso specifico?

Siamo piuttosto sicuri del fatto che non vedremo risposta neanche in quest'occasione.

Saluti a tutte/i.


Thursday, July 01, 2010

SPECISMO RELOADED.

Nonostante le numerose trattazioni ormai dell'argomento SPECISMO, sembra mancare quella che si occupi dell'origine di questo concetto/ideologia o comunque di analizzare in maniera un pò più approfondita l'oggetto da cui essa parte e intorno a cui si sviluppa.

Inoltre si vuole qui premettere che volutamente non si è fatta specifica menzione nel dettaglio a tutte le pratiche speciste atte ad utilizzare gli ANIMALI a qualsiasi scopo umano.

Si prenderà qui , per comodità, principalmente in esame l'esempio dello specismo “alimentare” per cui non me vogliano tutte/i coloro che ogni giorno si battono per abolire quelle modalità di sfruttamento animale perpetrare quotidianamente (vivisezione, sperimentazione, conceria, lusso, benessere, divertimento).

RAGIONE E SENTIMENTO.

Per comodità suddivideremo (consapevolmente in maniera semplicistica) le scelte umane come se esse fossero o di tipo razionale o di tipo emotivo-istintuale-sentimentale o miste ossia risultanti dalla concomitanza di entrambe le sfere.

In realtà sarebbe più corretto dire che le nostre scelte sono sempre questo risultato e mai si potrebbe realisticamente pensare che le due componenti possano esistere autonomamente se non nel contingente; altra cosa è poi saperle coscientemente individuare.

Lontani ormai da credenze manichee riduttive e popolari per cui la ragione e il sentimento abbiano in se una specifica valenza a prescindere dai contesti, è ormai esperienza acclarata che solo qualora queste due entità riescano armoniosamente a convivere e a dettare quasi in simbiosi l'una all'altra e viceversa le nostre scelte queste ultime potranno essere davvero libere; fino a quel momento avremmo sempre la necessità di vagliare, volta per volta, per direzionare le nostre azioni, avanzando gradualmente verso quell'armonia (qualora lo decidiamo consapevolmente).

Questa è l'esperienza anche (oltre che dell'autore del presente articolo) dell'inglese Richard Ryder che, dopo aver lavorato ad esperimenti su ANIMALI nel 1970 coniò per primo il termine SPECISMO fondandolo su riflessioni (ragione) etiche a partire da stati emotivi (sentimento) scaturiti dall'esperienza diretta a contatto con ANIMALI ( ossia esseri senzienti ) sofferenti e privi di qualsiasi libertà.

Il termine SPECISMO fu successivamente delineato dal filosofo australiano Peter Singer il quale lo ha definito: «Un pregiudizio o atteggiamento di prevenzione a favore degli interessi dei membri della propria specie e a sfavore di quelli dei membri di altre specie» (Liberazione animale, 1975) e dal filosofo statunitense Tom Regan.

Tuttavia già intorno agli inizi del 1800 Jeremy Bentham aveva cominciato a chiedersi se i nostri coinquilini ANIMALI avessero dovuto o meno godere di privilegi fino a quel momento mai neanche lontanamente immaginati, considerando che ogni essere vivente non umano era comunemente considerato alla stregua di un oggetto; il suo estremo pragmatismo e la sua occupazione di giusnaturalista nonché la sua straordinaria intelligenza ed enorme cultura portarono Bentham a formulare pensieri e a porsi domande assolutamente nuovi per l'epoca : - Non esistono animali superiori e inferiori, così come non esistono razze umane superiori e inferiori, ma esistono esseri viventi dotati di peculiarità uniche e come tali rispettabili e inviolabili. Il problema non è: "Possono ragionare?", né: "Possono parlare?", ma: "Possono soffrire?" -

[Jeremy Bentham]

Definiamo dunque lo SPECISMO un pensiero discriminatorio fondato sull’idea che gli animali appartenenti alla specie umana abbiano maggiori diritti (o superiori per importanza) a quelli appartenenti alle specie non-umane nonostante la loro caratteristica comune a noi esseri umani di “sentire” e, in alcuni casi, persino di provare sentimenti.

Senza soffermarci più del dovuto su cause e motivazioni dello SPECISMO potremmo azzardarci a motivarlo come causa di una visione antropocentrica della natura che potrebbe affondare le proprie radici un un'errata lettura del darwinismo oppure nella religione monoteista, cristianesimo a capo ( per quanto qualcuno sostenga che esso non lo sia molto più che il pensiero utilitarista ) e in moltissime politeiste (qualunque dio creazionista avrebbe progettato e “costruito” gli animali non-umani per porli al servizio degli animali umani e gli animali umani affinché vivessero attenendosi rigorosamente ai propri comandamenti e alla propria volontà, commettendo, se necessario, anche sacrifici di membri della propria specie) oppure ancora in una visione del mondo individualista o personalista (secondo una tradizione non sufficientemente olistica, dunque anacronistica) o semplicemente nell’ignoranza ( non avendo la consapevolezza di cosa possa voler dire avere degli organi di senso.

Lo SPECISMO non è che la punta dell'iceberg del retaggio culturale e sociale umano che a tutt'oggi non riesce ancora a liberarsi definitivamente (ammesso che ciò possa davvero mai avvenire) di tutta la discriminazione, dell'egoismo, del desiderio indiscriminato di ricchezza, potere, denaro, beni materiali, dominio su tutto e tutti, conseguenze del vivere per secoli, a dirla con Fromm, secondo la modalità dell' AVERE.

Per quanto premesso deduciamo allora che lo SPECISMO ha davvero motivo di esistere (ossia può essere considerato davvero un'ideologia in cui è possibile riconoscersi) solo qualora venga supportato dalle nostre due dicotomiche sfere : se pensiamo di poter uccidere qualsiasi essere vivente ANIMALE senza che ciò muti minimamente il nostro stato emotivo ma poi all'atto pratico è necessario impegnarsi per “mantenere il sangue freddo" e “non farsi guidare dalle proprie emozioni"(frasi frequenti quando si vuol convincere qualcuno ad uccidere un essere vivente senziente) probabilmente la sinergia "corpo-mente" di cui si parlava poc'anzi, in questo caso, non funziona affatto e non stiamo scegliendo davvero liberamente (o, per dirla con Kant, non stiamo conoscendo adeguatamente).

Una delle frasi tipiche degli anti-specisti (e vegan), presa in prestito da Tolstoj, è : "se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani".

Secondo uno studio condotto dall'autore di questo articolo circa il 90% (ed oltre) di intervistate/i che si cibano di carne non lo farebbe più ( almeno secondo quanto la maggior parte di loro sostiene ) nell'eventualità di procurarsela autonomamente uccidendo un ANIMALE “terrestre” o meno (in realtà la percentuale scende della metà ed oltre quando si prende in considerazione solo il “pescato”, mammiferi a parte).

Eppure tutti coloro (che addirittura si professerebbero addirittura anche contro la caccia) continuano a cibarsi di carne e derivati semplicemente demandando a qualcun altro il lavoro sporco in luoghi preposti ben occultati ai sensi, decidendo che ciò che in definitiva vanno a consumare non è nient'altro che un oggetto : qualsiasi lavorato finale proveniente dalla carne di un animale ammazzato finisce inevitabilmente per essere a tutti gli effetti un oggetto inerte, preconfezionato, quasi fosse completamente "altro" dall'ANIMALE da cui ha origine.

DOLORE.

Possibile che questo fastidio, disagio, avversione per cui non si riesca ad ucciderecosì facilmente un essere senziente sia unicamente un fattore culturale e dunque solo l'abitudine ed il “coraggio” facciano dell'essere umano un assassino? E l'empatia sarebbe solo una debolezza? Sarebbe davvero solo per una questione di immaturità, infantilismo, codardia, mostrare titubanza nel momento in cui dovremmo assassinare un ANIMALE così come i nostri antenati hanno fatto da quando qualcuno di loro cominciò per la prima volta qualche migliaio di anni fa?

Domande tutte retoriche, ovviamente, se partiamo da assunti come quello di Bentham che avrebbe individuato il nodo cruciale ossia qualcosa che finisce per rappresentare la perfetta sintesi tra ragione e sentimento.

Per Bentham la domanda principale riguarda la sofferenza ossia quella sensazione che, una volta riconosciuta, ci rende in quel momento uguali all'essere vivente che la prova.

Nessuno, tanto meno un ANIMALE SUPERIORE, è in grado di assistere ad una scena di sofferenza “gratuita” (ossia in cui un essere vivente ANIMALE inerme soffra) senza che il proprio stato emotivo subisca (inconsciamente o meno) cambiamenti, senza che la propria volontà non canalizzi automaticamente le proprie energie, quando possibile, nello sforzo che ciò termini nel più breve tempo possibile.

Probabilmente è questo un fattore soggettivo ossia quanto più un individuo è "sensibile" tanto più avrà facilità ad empatizzare ; tuttavia il riconoscere uno stato di un altro essere vivente come il proprio genera in maniera meccanico-chimico quasi la stessa percezione in noi stessi anche se ciò avviene non “spontaneamente”; per gli stessi motivi riusciamo a non percepire il nostro dolore se davvero lo vogliamo e ci concentriamo o se ci portano ad ignorarlo.

Gli studi sul dolore sono ancora molto indietro e a tutt'oggi si pensa che nell'essere umano esso sia una quasi perfetta unione tra psicologia e fisiologia dunque molto difficilmente si può individuare una zona, all'interno del sistema nervoso, precisa e delineata, dove senza dubbio si genera ciò che definiamo DOLORE (nonostante esistano aree del cervello innegabilmente interessatevi) in cui questo stimolo venga elaborato come succede per l'essere umano o comunque per quegli esseri viventi dotati di strutture talamiche dell'encefalo; in mancanza di queste lo stimolo interesserà soltanto le regioni periferiche (nocicezione) e non potrà, dunque, coinvolgere la coscienza dunque l'emotività, caratteristiche proprie unicamente di quelle organizzazioni complesse.

Anche la maggior parte di cacciatori e macellai ossia tutti coloro che hanno deciso di uccidere ANIMALI per i motivi più diversi (è solitamente una scelta di tipo alimentare alla base di questi comportamenti, sebbene la caccia abbia, a detta dei fans, motivazioni ben più “nobili” tanto che la maggior parte di loro si definiscono addirittura i più grandi amanti a conoscitori della natura e degli esseri viventi) cercando di trovare la modalità che arrechi meno DOLORE alla vittima (è quello che un pò si fa anche con i condannati a morte nella società moderna), tant'è che le stessi leggi di un paese in cui è permessa la caccia o addirittura in cui vige la pena di morte vietino di far soffrire o arrecare "inutilmente" morte e/o sofferenza a qualsiasi essere vivente ANIMALE.

Qualsiasi addetto allo studio della psicologia o del comportamentismo umano non potrà fare a meno di riconoscere che il desiderio di arrecare volutamente sofferenza a se stessi e agli altri è proprio di una personalità “deviata” e con molti altri problemi al seguito tale da essere a tutti gli effetti considerato una disposizione nociva a se stessa/o ed al bene della comunità in cui vive.

C'è da fare una precisazione : in questo senso l'essere umano potrebbe sembrare l'unico a differenziarsi dagli altri ANIMALI per via degli aspetti fondamentali della vita su questo pianeta, ossia il principio di conservazione della specie e il cosiddetto istinto di sopravvivenza.

Tuttavia non è così, infatti tutti i mammiferi hanno la capacità di mettere da parte le regole che geneticamente regolerebbero le proprie esistenze per agire in maniera cosciente, ossia secondo la propria volontà.

Il suicidio (anche il lasciarsi morire è una forma di suicidio) ne è l'esempio più calzante, atto per qualcuno estremo, in quanto opposto a quelle leggi “naturali” ma assolutamente naturale quando l'emotività detta legge, quando il malessere esistenziale o l'estremo dolore per un fatto tragico può contribuire a non desiderare più di rimanere in vita.

Anche il dolore per la scomparsa di un altro individuo della propria specie finisce per rappresentare la causa (involontaria, stavolta) di morte in una coscienza particolarmente sensibile a livello emotivo.

Il dolore è dunque qualche cosa di ancora studiato perfino nell'essere umano in quanto non semplicemente un fenomeno sensoriale bensì il risultato di una serie di complessi e non sempre possibili passaggi in ANIMALI in cui con i nostri sensi non riscontriamo quelle strutture complesse tali da poterle tanto facilmente accomunare alle stesse sensazioni che appartengono ai cosiddetti ANIMALI SUPERIORI.

L'indicazione SUPERIORE, infatti, vuole esprimere proprio il concetto che sono le strutture bio-fisiologiche ad essere più complesse così come, conseguentemente, le possibilità di riscontrare stati emotivi e/o sensoriali che invece non posso essere realizzati in organismi molto più semplici a causa di carenza di strutture idonee allo svolgersi di determinati processi; secondo lo stesso Darwin gli ANIMALI SUPERIORI sarebbe anche i soli ad essere interessati da fenomeni evolutivi.

Non si può pensare che un mollusco o un protozoo o una mosca o addirittura una pianta possano elaborare in maniera cosciente la sensazione del dolore, almeno non allo stesso modo di altri esseri viventi dotati di strutture biologiche che in quelli mancano oppure che abbiano una qualche attività psichica e spirituale : chi pensa il contrario non fa nient'altro che antropomorfizzare gli esseri viventi non umani e si comporta come chi ha deciso di rinunciare alla ricerca della verità che diventa unicamente spasmodica ricerca della coerenza della propria fede.

Questo ci porta inesorabilmente a vivere in un universo costituito da innumerevoli verità, come delle galassie a se stanti, delle monadi astronomiche che, paradossalmente, a differenza di quel che succede in natura, tendono a preservare la propria integrità, non adoperando alcuna azione sinergica con le altre, permanendo in una fissità a lungo andare logorante per l'universo stesso.

DEFINIZIONI.

Molto importante è individuare i confini tra termini molto confusi (proprio perché definizioni umane) quali vegan, vegetarianesimo e qualunque altro che si riferisca ad una consuetudine alimentare conseguente ad una visione critica che apparentemente si direbbe derivare dall'antispecismo.

C'è chi si definisce in un modo o in un altro molto spesso a torto poiché può capitare di compiere una scelta di tal genere piuttosto per una tendenza di tipo egoistico-individuale, ponendo ad esempio la propria salute e quella delle persone care/vicine come la cosa più importante al mondo, per cui da salvaguardare a tutti i costi (specista estremista); in questo caso, dunque, si decide di non mangiare carne o derivati ma non certamente per l'empatia ed il rispetto verso gli altri esseri viventi, bensì per motivazioni esattamente opposte.

Il termine che più di ogni altro è quello che desta maggiori dubbi e genera maggiormente problemi di comunicazione in questo contesto è quello di vegetarismo (o vegetarianesimo o vegetarianismo) che talvolta assume i significati più vari e divertenti.

Azzardiamoci a dire che in questa categoria ci sono tutte/i coloro che hanno deciso di non mangiare certamente tranci crudi o cotti o carcasse di corpi di ANIMALI morti ammazzati o meno (per un motivo o per un altro) interi o “lavorati” (in questi ultimi dovrebbero rientrare anche i prodotti caseari ottenuti con caglio animale).

Ecco individuato l'oggetto intorno a cui ruota lo SPECISMO : l'essere vivente senziente con cui il vegetariano o il vegan empatizzerebbe e che, dunque, deciderebbe non solo di non sacrificare ma di “innalzarlo” allo status umano, assegnando loro addirittura diritti inalienabili.

Consultando il solito dizionario, tra i vari significati che il termine ANIMALE può assumere all'interno di una frase italiana di senso compiuto ne esiste uno che è poi quello più "vero" ossia quello che definisce l'entità animale che dunque possiede un "equivalente diretto" ossia un'entità materiale nella realtà (almeno quella in cui abbiamo la consapevolezza di far parte) che possiamo percepire coi nostri sensi e che ha le caratteristiche contenute in quella definizione (un'altra tra le definizioni riportate molto interessante per capire dove può arrivare la discriminazione umana è quella per cui si definisce ANIMALE un essere umano della peggior specie).

Un ANIMALE è da tutti noi a tutt'oggi convenuto "ogni organismo vivente dotato di sensi e di movimento spontaneo"; in maniera un pò più scientifica potremmo dire meglio "qualsiasi organismo eucariota, eterotrofo e mobile durante almeno uno stadio della propria vita".

Decidere dunque di non mangiare ANIMALI vuol dire in termini "pratici" non cibarsi di alcun essere vivente che tassonomicamente non rientri, almeno secondo l'ultima teoria classificativa, nel regno degli Animalia in quanto le piante o i funghi, anch'essi esseri viventi eucarioti, non hanno "sensi" (anche se compiono anch'essi movimento spontaneo seppur impercettibili ai nostri sensi) ossia non hanno terminazioni nervose di alcun tipo che permettono lo scambio di informazioni con l'esterno e sono autotrofi.

Il problema nasce quando ci troviamo di fronte a dei protozoi ossia a dei protisti (o protoctisti) con caratteristiche tali per cui a essi o molti di essi, pur essendo unicellulari, vengano fatti rientrare a tutti gli effetti nel regno degli Animalia.

Ciò ci porta dunque a concludere che chiunque si cibi di molluschi, insetti o protozoi, è erroneamente indicato con il termine vegetariano; il vegetariano può, infatti, tutt'al più assumere dei derivati animali che non provengano da uccisione (e macellazione) di alcun ANIMALE anche se ciò, tuttavia, causa allo stesso essere dolore e sofferenza talvolta anche ben peggiori di quelli inflitti con la sola uccisione.

Il vegan, invece, rinuncia per definizione anche a quei sottoprodotti considerando la sofferenza o la privazione di libertà alla stessa stregua della morte.

Non esistono, invece, categorie precise per individuare un vegetariano/vegano-insettivoro, pescivoro o che si cibi di protozoi, nonostante rientrino in queste moltissime persone che non hanno alcun problema (razionale o emotivo) a cibarsi di lombrichi, o di molluschi o di esseri uni o multicellulari piuttosto primitivi o comunque strutturati in maniera decisamente più semplice rispetto ad ANIMALI più complessi : in questo caso sarebbe giustificata una dichiarata avversione nei confronti della necrofagia?

Si definiscono SUPERIORI gli ANIMALI vertebrati dotati di un sistema nervoso complesso dorsale, colonna vertebrale (che contiene e protegge parte di esso), organi interni preposti alle funzioni vitali e organi di riproduzione specializzati per la produzione di gameti.

Sono considerati ANIMALI SUPERIORI, i vertebrati mammiferi, uccelli, pesci , anfibi, rettili.

A loro volta tutti essi vengono suddivisi in ANIMALI omeotermi o ectotermi a seconda della propria capacità a mantenere o meno costante la temperatura corporea, che è poi conseguenza pressoché diretta dello sviluppo di un sistema nervoso più complesso.

Il professor James D. Rose condusse uno studio nel 2002 per dimostrare il fatto che i pesci (ectotermi) non provassero dolore a causa della mancanza dell'appropriata neocorteccia nel cervello.

Per quanto parrebbe incredibile, infatti, gli animali a sangue freddo non potrebbero provare dolore in quanto senza una sistema circolatorio adeguato il sistema nervoso non sviluppa quelle organizzazioni come ad esempio la citata neocorteccia dove questi stimoli sensoriali trovano la propria sede di smistamento/elaborazione per cui l'individuo ne prende realmente coscienza.

CATEGORIE.

Sarebbe molto coerente da parte di tutti coloro che si definiscono antispecisti combattere innanzitutto la solita battaglia contro il solito linguaggio discriminante con cui concetti ormai superati vengono ribaditi in maniera subliminale e rallentano quel processo di evoluzione tanto sospirato.

Inoltre se per un antispecista tutti gli esseri viventi ANIMALI sono davvero sullo stesso piano e la vita di ognuno di loro è davvero identica a qualsiasi altra perché non vivono essi come i giainisti?

Se un antispecista sfrutta o uccide dall'alto della propria superiorità gerarchica e di valore, per qualsiasi scopo, un insetto o un protozoo non è più un antispecista in quanto anch'essi sono considerati ANIMALI.

E così un vegetariano non è più tale se si ciba di prodotti caseari ottenuti dall'uccisione di ANIMALI.

Ugualmente non sarà un vegan o un vegetariano chi sfama un animale con la carne (di qualunque origine essa sia) di un qualsiasi altro.

Davvero sorprendente è notare le analogie tra gli insetti e tutti gli altri ANIMALI : quasi tutti gli apparati di quelli riproducono in miniatura e solitamente in maniera un pochino meno complessa quelli dei coinquilini terrestri più grandi e complessi tuttavia senza tuttavia che essi possano poter provare sentimenti o sensazioni quali il dolore in quanto privi delle strutture nervose e cerebrali necessarie.

Ancora più sorprendente è pensare che ormai la teoria scientifica più accreditata, in maniera quasi "definitiva" è che ci siano state linee evolutive parallele o comunque che "superiore", almeno in zoologia, non sia sinonimo di migliore.

Insomma se è vero che per l'antispecista alla cima della piramide NON c'è affatto l'essere umano che ha diritto sempre e comunque di vita, di morte, di libertà su qualunque altro essere vivente, allora l'antispecista dovrebbe porre la propria vita sul medesimo piano di un insetto o di un protozoo.

Tuttavia la maggior parte di coloro che si definisco in questo modo stermina senza alcuna pietà, quotidianamente, per ignoranza, menefreghismo, incoerenza, mancanza di adeguata attenzione migliaia di ANIMALI che come unica colpa hanno quella di non essere raggiunti ed individuati dai nostri sensi quindi dalla nostra coscienza.

Per le stesse ragioni (anche se in maniera ancor più accentuata) la maggior parte delle/dei antispecistie/i si prende cura di uno, dieci, cento ANIMALI (cani o gatti) nutrendoli con la carne di altri, questa volta addirittura altrettanto complessi, dunque altrettanto "senzienti", giustificando la scelta contraria come una privazione di libertà nei confronti di ANIMALI carnivori (privilegiati, che ha nominato come propri “animali-da-compagnia) riconoscendo, dunque, un valore alla NATURA esattamente come ce l'hanno tramandata fino ad oggi i nostri avi, detentori di una società patriarcale sessista, specista e razzista.

Il principio che giustifica tali azioni è lo stesso che giustifica la discriminazione a qualsiasi livello ed è la più pericolosa poiché riconosce a quella NATURA così divinizzata un valore intrinseco che è alla base della vita e che non può essere intaccato per alcun motivo e che è rifiutato dall'antispecismo.

Non si può ne si deve pensare che tutte le classificazioni, seppur gerarchiche, siano state create in base al valore o all'importanza; per questo motivo non basta chiamare un essere vivente ANIMALE per potergli assegnare dei diritti, necessitiamo che ci siano DAVVERO le condizioni per cui sia realmente possibile per l'ANIMALE in questione “poterne beneficiare”.

Per quanto, infatti, avere rispetto per QUALSIASI essere vivente (animale o vegetale esso sia) sia sempre giusto e non origini mai sofferenza, distruzione, disarmonia, è anche vero che è necessario capire dove poter attingere (se vogliamo continuare a sopravvivere) per eleggere le nostre "vittime" all'interno del mondo organico/biologico.

Presumibilmente, infatti, quando queste vittime non abbiano REALMENTE una coscienza che le porti a provare emozioni la nostra empatia non si innescherà, per cui molto difficilmente ci impedirà di estirpare un tubero o di recidere un frutto dalla pianta, o di pescare dei mitili attaccati ad uno scoglio (fino a sterminare in ogni modo le tanto odiose zanzare).

Esistono infinite combinazioni nella realtà che generano un numero N tendente all'infinito di risultati cioè di esseri viventi e non; non è antropocentrismo o specismo differenziarli in base a caratteristiche tipiche simili o uguali.

La sola classificazione non può essere discriminatoria tout court.

E se è vero che studiare un impulso elettrico in un organismo elementare è relativamente facile quando si conosce bene il percorso che esso compie dalla ricezione dello stimolo fino alla consegna non lo è affatto qualora questo percorso si complessifichi e ci diventi addirittura impossibile riuscire a capire dove come e quando esso venga interfacciato.

Tuttavia non si può prescindere dal fatto che essendo la vita, almeno in maniera oggi riconosciuta, sviluppatasi gradualmente, su scale temporali non propriamente "umane", abbia lasciato e lasci così tante tracce a vari livelli che ci saranno innegabilmente molteplici differenze dovute alla diversità di sostanze e leggi che ne regolano la composizione ed organizzazione.

CONCLUSIONI.

Le categorie, come le definizioni, sono inevitabili, non potremmo vivere senza fissare punti a cui arrivare volta per volta e da cui anche ripartire; non lo è altrettanto creare dei veri e propri stili di vita o filosofie su di essi, ciò rappresenta una menomazione del nostro pensiero, una forzatura creata da noi stessi a tutti i costi che ci rende più immobili, ci toglie curiosità e desiderio di crescere, voglia di confrontarci realmente con gli altri e non solo per affermare le idee a cui abbiamo deciso di aderire, a cui ci siamo affidati con fede, anche se questa ha, in partenza, per noi stessi, una base razionale.

Quando ci affidiamo poniamo in essere qualcosa come un dato di fatto, un assioma sempre e comunque vero (a priori), è come se decidessimo di abbandonare la verità o quantomeno di fermarci nel percorso verso la ricerca di essa.

E' ciò che è successo anche alla filosofia che, dopo secoli di speculazioni dettate dal solo amore per la conoscenza e dal desiderio di verità ha finito per assoggettarsi a quella presunta rivelazione divina tanto cara (quasi necessaria) al popolino e imposta dal regime di turno e i nuovi filosofi hanno cominciato a sforzarsi di trovare dei compromessi (talvolta davvero al limite del ridicolo o del penoso) affinchè la verità rivelata potesse essere spiegata, dunque accettata, grazie al paradigma filosofico, preesistente ad essa.

Ognuno di noi dà a se stessa/o e agli altri spiegazioni per giustificare i propri comportamenti in base alla propria fede che proprio perché fondata su una verità (o creata da noi o data da qualcun altro) a cui abbiamo deciso di aderire è e rimarrà sempre immutata ed innegabile e non ci sarà possibilità per la nostra crescita individuale e civile